top of page
Immagine del redattoreCarlo Miglior

Un anno dalla morte di Shinzo Abe: storia del Giappone moderno.

L’8 luglio 2022 si assisteva all’assassinio di Shinzo Abe nella città di Nara, ove l’ex Primo ministro giapponese si era recato per partecipare a un comizio elettorale.

Oltre a renderne gli onori del ricordo, visto l’anno passato dal suo decesso, con questo articolo si cercherà di riassumerne la traiettoria politica, soprattutto in ambito di affari esteri ed economici.




La carriera politica di Shinzo Abe ha rappresentato, e la sua eredità ancora rappresenta, un elemento di rilievo e per la storia contemporanea giapponese e per un modello internazionale di destra politica moderna.

Nonostante fosse eletto alla Camera dei rappresentanti del Giappone ininterrottamente dal 1993 al 2022 tra le fila del Partito Liberale Democratico, maggior partito di destra giapponese e che ha più significativamente segnato la storia del paese dal secondo dopoguerra ad oggi, Shinzo Abe assunse la carica di Primo ministro del Giappone in due momenti diversi.

Il primo periodo fu tra il 2006 e il 2007 mentre il secondo fu dal 2012 al 2020, in cui mantenne il potere per 8 anni consecutivi.

Durante il suo primo mandato da Primo ministro Shinzo Abe pose alcuni degli elementi essenziali della sua condotta politica: l’intenzione di modificare l’art.9 della Costituzione giapponese, elemento simbolo del pacifismo giapponese seguito alla seconda guerra mondiale, e, contemporaneamente, mantenere un solido rapporto con gli Stati Uniti d’America. A livello di risultati ottenuti, il primo mandato Abe realizzò la nascita di un Ministero della Difesa giapponese, che sostituiva la precedente Agenzia per la Difesa. Inoltre, già nel 2007 il governo giapponese si erse a pioniere della nascita del QUAD, Quadrilateral Security Dialogue, partenariato strategico tra USA, Giappone, India e Australia in tema di politica estera e di difesa. L’elemento di novità risulta dal fatto che la logica del Quad, fu ripresa anni dopo dall’Amministrazione USA di Donald Trump e proseguita al giorno d’oggi con l’Amministrazione Biden, diventando uno degli elementi cardine della strategia americana di contenimento cinese nel contesto Indo-Pacifico.

Tornato al governo nel 2012 il primo elemento da tenere a mente fu la sua condotta in ambito economico. A proposito di ciò tutto il mondo ricorda il termine Abenomics, proprio in riferimento alle manovre implementate dal governo Abe nel tentativo di risanare l’economia del paese. In estrema sintesi i 3 elementi cardine su cui si fondava questa complessa manovra economica furono la politica monetaria espansiva, la politica fiscale dettata da un aumento di spesa pubblica correlato a un taglio delle tasse, e un insieme di riforme strutturali interne al Giappone. Nel complesso si può dire che i risultati ottenuti da questa manovra economica siano stati misti: se di negativo si registrò un aumento del debito pubblico del paese, che rappresenta un problema alla sostenibilità economica di lungo periodo per il Giappone, per il resto fu raggiunta una maggiore competitività sui mercati internazionali, furono creati numerosi nuovi posti di lavoro ed aumentò la crescita economica del paese.

Visti i miglioramenti economici verificatisi nel periodo seguito all’implementazione di tali politiche, il governo Abe si rese in condizione di dedicarsi a materie quali politica estera e difesa.

In questo quadro grande novità avvenne nel 2014, quando si realizzò ufficialmente la reinterpretazione dell’art. 9 della Costituzione giapponese, in senso di una legittimazione della presenza delle forze di autodifesa collettiva su territorio giapponese, volta a una maggiore collaborazione con le forze militari statunitensi nell’area del Pacifico. Tra le diverse leggi sulla sicurezza emanate a seguito di tale reinterpretazione costituzionale, fu rilevante quella per le operazioni di peacekeeping giapponesi all’estero, classico strumento di politica estera giapponese dal secondo dopoguerra in avanti, vista l’assenza di un ufficiale esercito giapponese come specificato nello stesso articolo 9.

La logica di tale riforma fu quella di estendere le operazioni di peacekeeping giapponesi all’estero anche fuori da contesti definiti da risoluzioni ONU, rendendo questo strumento un vero e proprio elemento strategico per la proiezione del proprio interesse nazionale all’estero e rilanciando, di conseguenza, l’attivismo nipponico in diversi contesti e teatri internazionali.

In un’ottica decisamente realista, negli ultimi anni del suo mandato da Primo ministro, Shinzo Abe tentò di normalizzare i rapporti con Cina e Corea del Sud, paesi ritenuti fondamentali alla politica estera giapponese vista la vicinanza geografica.

Emblematico fu un summit trilaterale del 9 maggio 2017 con le delegazioni di questi due paesi.

Per quel che concerne la Cina, nonostante i due paesi venissero da anni di rapporti difficili vista la disputa territoriale sulla sovranità delle isole Senkaku del Mar Cinese Orientale, fu importante ristringere il rapporto dati i grandi scambi economici tra i due paesi, senza tuttavia rinunciare all’alleanza con gli USA, elemento cardine nella visione di Abe per la politica estera nipponica. Con la Corea del Sud, invece, fu essenziale riaprire al dialogo con il fine di controbilanciare le due maggiori minacce alla sicurezza regionale, ovvero sia, la stessa Repubblica Popolare Cinese e la Corea del Nord. In quest’ottica Shinzo Abe, messo da parte il proprio orientamento conservatore e nazionalista a favore di un deciso pragmatismo, smise di recarsi in visita ufficiale al Santuario Yasukuni. Questo è un simbolo dello Shintoismo ed elemento celebrativo dei caduti di guerra giapponesi. La visita a questo sito da parte delle delegazioni del governo giapponese, avvenute fino al 2013, avevano destato, in più di un’occasione, reazioni negative da parte delle opinioni pubbliche dei due paesi, Cina e Corea del Sud, visto il comune e tragico passato di sottomissione all’Impero del Sol Levante.

In ultima analisi la figura di Shinzo Abe fu in grado di coniugare una propria tradizione conservatrice e nazionalista con un sano realismo dettato dagli eventi della politica internazionale. Risultato degli eventi è stato che il paese è stato in grado di proporre un proprio significativo attivismo e una propria autonomia nelle relazioni regionali e internazionali, consolidando al contempo la propria relazione diplomatica con il proprio principale alleato a livello internazionale, gli Stati Uniti d’America.

Comments


bottom of page