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Immagine del redattoreLuigi Gattone

Gli USA hanno mollato Israele?

Nella giornata di lunedì 25 marzo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 2728, che stabilisce un insperato “cessate il fuoco” a Gaza, dopo oltre 150 giorni dall’inizio dell’operazione terrestre da parte delle IDF. Determinante l’astensione degli Stati Uniti, in grado di esercitare potere di veto sulle decisioni del Consiglio in quanto membro permanente: dopo diversi mesi di ostruzionismo e veti incrociati, la risoluzione è passata con 14 voti a favore.



Il testo della risoluzione obbliga le parti ad un cessate il fuoco immediato per il mese del Ramadan e impone trattative per la liberazione degli ostaggi, oltre a sottolineare l’urgenza di aiuti umanitari destinati alla popolazione civile palestinese. Assente una esplicita condanna ad Hamas per il massacro del 7 ottobre – che l’ambasciatore israeliano all’ONU ha definito “una disgrazia” – diversamente, nota William Wechsler (Atlantic Council), da quanto accaduto con al-Qaida dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Allo stesso modo, manca un richiamo al quadro normativo di riferimento: solitamente, i capitoli VII e VIII della Carta ONU. Il che non consente di prevedere le eventuali contromisure rispetto ad una violazione della tregua – eventualmente, misure non militari come smart sanctions o embargo delle armi.

In molti hanno parlato di una svolta storica, forse in modo troppo affrettato. In primis, da sottolineare l’incapacità per le Nazioni Unite di imporre effettivamente le sue decisioni, soprattutto mancando delle esplicite contromisure. Tanto più che l’ambasciatrice americana al Palazzo di vetro, Linda Thomas-Greenfield, ha erroneamente dichiarato alla stampa che la risoluzione appena approvata non fosse vincolante – Nota Bene: tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza lo sono! – proprio per l’assenza di riferimenti al Capitolo VII. Ancora, Israele, come i principali attori mediorientali e non solo, non sono certo noti per ottemperare alle decisioni prese dalle Nazioni Unite.

Anche il presunto strappo tra Washington e Tel Aviv andrebbe ridimensionato. Certo, le occasioni in cui, in sede Onu, Washington si è opposta ad Israele si contano sulle dita di una mano. Se l’astensione del 25 marzo è da considerarsi un ammonimento a Netanyahu, il sostegno degli Stati Uniti ad Israele non è stato messo in discussione – e non lo sarà in futuro. Verosimilmente, Biden sta cercando di ricondurre il principale partner regionale forzosamente sotto il suo controllo. In più, gli Stati Uniti potrebbero facilmente dissociarsi nel caso Netanyahu proseguisse con l’offensiva su Rafah – divenuta un campo profughi per oltre un milione di sfollati palestinesi –, che risulterebbe in un massacro di proporzioni inimmaginabili. Il calcolo statunitense è che Netanyahu preferirebbe tornare sotto l’ala statunitense piuttosto che trovarsi in un mai così vistoso isolamento internazionale.

A rischio anche la tenuta del governo israeliano: molte forze politiche sono sempre più insofferenti alla gestione dell’offensiva su Gaza, e altrettante quelle che non sacrificherebbero la protezione dell’alleato americano per entrare a Rafah. Si tenga presente che, durante il voto al Palazzo di vetro e mentre Netanyahu ritirava la delegazione in partenza per gli USA, era presente a Washington Yoav Gallant, Ministro della Difesa israeliano – comodo paravento per l’amministrazione Biden. Preceduto, alcune settimane fa, dal principale rivale dell’attuale Capo di Stato, Benny Gantz, che si è espresso più volte sulla priorità della liberazione degli ostaggi, piuttosto che dell’offensiva nella Striscia – posizione condivisa da un fronte molto eterogeneo in Israele.

Mentre la situazione umanitaria a Gaza continua a precipitare, rimangono sempre vividi i timori sulla deflagrazione del conflitto su scala regionale: tra il 23 e il 26 marzo, Israele ha colpito alcune postazioni di Hezbollah nel nord-est del Libano (al-Osseira, Boudai, Waadi al-Fara) a 130 km dal confine israeliano – l’obiettivo più distante colpito sinora.

In definitiva, la risoluzione approvata questo lunedì è solo un primissimo passo: l’auspicio è che possa condurre ad una tregua effettiva e durevole. Tregua che, inevitabilmente, sarebbe frutto di negoziati, ancorché sotterranei, tra le forze sul campo, e non imposta dall’esterno. Se neanche l’intervento di Washington fosse sufficiente a contenere le ambizioni israeliane, le conseguenze sarebbero devastanti – e non solo per Gaza.



Riferimenti

Onu, cessate il fuoco e rilascio ostaggi. E ora? (https://open.spotify.com/episode/03sZZixdISaQmlsaehbwM8?si=592b6691c5a6451f).

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