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Immagine del redattoreTommaso Rossi

Il Club del Libro: Destra e sinistra, ragioni e significati di una distinzione politica.

DESTRA E SINISTRA: UNA DICOTOMIA ORMAI ESAUSTA


19 anni fa ci lasciava Norberto Bobbio: eredità immensa, accademico di lungo corso, intellettuale pungente. 9 anni prima della sua morte veniva dato alle stampe un libro destinato a segnare, sia dal punto di vista accademico che del dibattito pubblico, una cesura con il passato: Destra e sinistra, ragioni e significati di una distinzione politica. Vogliamo ricordarlo ponendoci qualche interrogativo.

In questo scritto Bobbio si interroga sul significato della dicotomia, e soprattutto se questa sia ancora valida. Riprendendo brevemente alcuni punti, utili per il proseguo del ragionamento, egli si chiede quali siano gli elementi che hanno prodotto la crisi di questa dicotomia, trovandone sei: la Crisi delle ideologie; nuove questioni e nuovi cleavages; una disarticolazione del sistema; un terzo incluso e includente: l’esautorazione di uno dei due termini; il non proporre più differenze.

Interessante è infatti la definizione di terzo includente, per cui «[presenta] una unità dialettica caratterizzata dall’essere il risultato di una sintesi di due parti opposte (...). Si presenta come un tentativo di Terza via, cioè di una posizione che diversamente da quella del centro non sta in mezzo alla destra e alla sinistra, ma pretende di andare al di là dell’una e dell’altra.» Quello che invece non convince del ragionamento di Bobbio è la seconda parte della definizione per cui «una politica di terza via è una politica di centro», anche e soprattutto perché poco dopo scrive: «Non terzo-fra, ma terzo-oltre, dove il Primo e il Secondo, anziché essere separati l’uno dall’altro e lasciati sopravvivere nella loro opposizione, sono avvicinati nella loro interdipendenza e soppressi per la loro unilateralità». Come definire il centro? Sembra, per l’idea di Bobbio, essere il frutto di un “annacquamento” dei due elementi dicotomici destra e sinistra, ma come si arriva a questa soppressione? E come si arriva al centro dopo questa soppressione? Domande che non trovano risposta da parte dell’autore ma che lasciano aperti ampi spazi di riflessione.

Ma qual è quindi per l’autore ciò che caratterizza questa dicotomia? La vera distinzione tra destra e sinistra è quella data dalla dicotomia uguaglianza/non eguaglianza. Il problema, però, per l’autore è capire tra chi/in che cosa/in base a che cosa l’uguaglianza e la non eguaglianza si fondano, trovando quindi una miriade di possibili definizioni. Il problema nell’applicare la definizione di Bobbio è proprio questo: quale elemento considerare all’interno della diseguaglianza per definire qualsiasi movimento/partito di destra? Quale elemento considerare all’interno dell’uguaglianza per definire qualsiasi movimento/partito di sinistra?

Aggiunge però Bobbio in riferimento all’uomo:

«si può dar conto di questo dato di fatto inoppugnabile, precisando che sono eguali se si considerano come genus e li si confronta a un genus diverso come quello degli altri animali e degli altri esseri viventi, da cui li differenzia qualche carattere specifico (...). Tra gli uomini tanto l’uguaglianza quanto la diseguaglianza sono fattualmente vere. (...) [si possono chiamare] inegualitari, al contrario, coloro che, partendo dallo stesso giudizio di fatto, apprezzano e ritengono più importante, per attuare una buona convivenza, la loro diversità»

Si può quindi ancora attualizzare questa dicotomia? Ci pare di no, per alcuni motivi.

In primo luogo, sembra altamente riduttivo tentare di incasellare secondo la distinzione “uguaglianza/diseguaglianza” una contrapposizione come quella attuale. Attualmente, la distinzione sembra più caratterizzarsi su progressismo/conservatorismo che su uguaglianza/diseguaglianza. Come incasellare questa nuova frattura nella vecchia?

Le nuove linee di divisioni non possono e non riescono ad essere associate ad una o all’altra. Nuove fratture impongono quindi nuove definizioni. La vecchia dicotomia destra/sinistra si basava su fratture novecentesche che presupponevano contrapposizioni ideologiche e per niente realiste, che non hanno fatto che inquinare pesantemente il dibattito attuale, caratterizzato inoltre da una disintermediazione e da uno scollamento tra popolo ed élite. Senza più i partiti di massa novecenteschi, come riproporre una simile frattura?

Inoltre, e si conclude, questa distinzione dicotomica esclude troppi elementi, importanti e fondamentali, sfavorendo una analisi seria ed esplicativa del fenomeno. Appare infatti riduttiva e prevalentemente basata su categorie ormai (anche all’epoca) passate.

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