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Immagine del redattoreLuigi Gattone

C’era una volta il cinema.

Il 3 gennaio del 1929, a Roma, nasceva Sergio Leone.

In appena 7 film, distribuiti nell’arco di tre decenni, Leone ha lasciato un’impronta inconfondibile, studiata e imitata ancora oggi.



Un marchio di fabbrica, il suo, fatto di primissimi piani alternati a campi larghi, piani sequenza di orizzonti sterminati ed eterni istanti sui dettagli: ne sono debitori i registi suoi contemporanei e successivi, da Kubrick a Tarantino.

L’opera di Leone, probabilmente, non sarebbe stata la stessa senza il sodalizio con Ennio Morricone, grazie al quale riuscì a tessere atmosfere intense e pregne di significato, armonizzando la musica con le immagini come nessuno prima (ma anche dopo) di lui.

Il West di Sergio Leone è epico e monumentale, ma cupo e solitario: è l’America del dopoguerra – come Hollywood e lo star system – vista da un romano, piena di libertà e speranze, ma anche spietata e contraddittoria, in cui non sarà mai a suo agio. Così sono anche le sue storie e i suoi protagonisti, che raccontano la frontiera dell’Ovest e lo stesso cinema western degli anni d’oro, in cui non ci sono santi né eroi, dove Bene e Male non coincidono con Giusto e Sbagliato.

Se il genere che lo ha reso uno dei più importanti cineasti internazionali è stato quello degli Spaghetti Western, il suo testamento spirituale è Once Upon a Time in America, il suo ultimo film: un gangster movie con toni noir, calato in un’atmosfera onirica, che si addentra nella più profonda natura dell’uomo e delle relazioni.

Un film incredibilmente perfetto, in cui traspare la tormentata genesi dell’opera – durata ben due decenni –, che racconta dell’amicizia, del tradimento, dell’amore e della violenza, delle grandi speranze dell’infanzia e delle delusioni da adulti, di una malinconica nostalgia per la sua giovinezza – come quella del protagonista – e per l’età d’oro del cinema.

Il cinema di Leone fu romantico e disincantato, rivoluzionario e nostalgico, politico e disilluso: per questo, a quasi sessant’anni di distanza, continua ad essere fonte di ispirazione, ad essere ancora in grado di meravigliare, di esplorare luoghi fisici e stati d’animo lontani e indecifrabili.

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